Sui social si è scatenata una vera e propria campagna di sensibilizzazione sull’importanza di garantire alle donne la possibilità di rivendicare i propri diritti, di prendere decisioni informate e libere in merito ai loro corpi e alla salute dei loro bambini.
L’Italia vanta ospedali e strutture sanitarie eccellenti con tassi di mortalità e morbilità materna e neonatale tra i più bassi in Europa. Ciò è dovuto sia ai progressi medici e al nostro sistema sanitario pubblico, sia al miglioramento generale delle condizioni di salute della popolazione. Tuttavia, sfortunatamente, siamo anche tra i Paesi con il tasso più alto di tagli cesarei e di medicalizzazione del percorso nascita. Nonostante la medicina abbia portato grandi miglioramenti nella salute delle persone, ci troviamo a dover affrontare il problema dell’eccesso di medicalizzazione.
La lotta contro la violenza ostetrica: il fallimento delle raccomandazioni OMS
Nel 1985, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato delle raccomandazioni basate su prove di efficacia per quanto riguarda l’assistenza al travaglio, al parto e al post-partum. Queste raccomandazioni indicano chiaramente quali pratiche sono efficaci e appropriate e quali non lo sono. Tuttavia, molte strutture sanitarie non seguono queste raccomandazioni e, al contrario, adottano pratiche aggressive che non sono basate su evidenze scientifiche e che non rispettano le volontà e i diritti della madre e del neonato. L’OMS raccomanda di evitare pratiche come il clistere, la depilazione, la rottura delle membrane, la posizione obbligata durante il travaglio e il parto, il digiuno e il divieto di bere, l’episiotomia, le spinte sulla pancia, il taglio precoce del cordone ombelicale e la separazione della madre e del neonato dopo il parto, a meno che non vi sia una precisa indicazione medica. Queste pratiche, dette anche “violenza ostetrica”, possono causare un effetto a cascata che rende il taglio cesareo inevitabile anche quando non sarebbe stato necessario se si fosse praticata un’assistenza meno invasiva.
Conseguenze psicologiche della violenza ostetrica sulla madre
Il parto è un’esperienza unica e importante per ogni donna, che dovrebbe essere vissuta secondo i propri bisogni e desideri. Purtroppo, spesso le pratiche assistenziali imposte dall’ospedale non rispettano i bisogni e la volontà della donna, causando danni fisici e psicologici.
La violenza ostetrica può causare danni fisici come lesioni o infezioni, ma anche danni psicologici come sfiducia in se stessi, insicurezza, impotenza e sconforto. Inoltre, può innescare un processo di auto-colpevolizzazione, portando la donna a rimproverarsi per non essere stata in grado di vivere il parto come desiderato. Queste conseguenze possono includere ansia, depressione, traumi, problemi di allattamento e difficoltà a rielaborare l’esperienza del parto. Inoltre, questo trauma può avere effetti a lungo termine sulla relazione madre-figlio, come una diminuzione della capacità empatica e un senso di estraneità e distacco, che può interferire con la formazione di un legame di attaccamento positivo tra la madre e il bambino.
È importante che la madre sia supportata e ascoltata durante tutto il processo del parto e che le sue scelte e preferenze vengano rispettate. Inoltre, è importante che gli operatori sanitari siano formati per riconoscere e prevenire la violenza ostetrica.
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Il neonato
La violenza ostetrica non solo causa danni fisici alla madre, ma può anche avere conseguenze negative sulla salute psicologica della madre e del neonato. I neonati hanno bisogni fondamentali che devono essere soddisfatti per garantire uno sviluppo sano, come il contatto pelle-a-pelle con la madre e la possibilità di nutrirsi in modo autonomo. Qualsiasi interferenza con questi processi naturali può essere dannosa per il neonato e interrompere la costituzione del legame di attaccamento tra madre e figlio, che è essenziale per garantire a entrambi un buon adattamento alla nuova situazione. La relazione di attaccamento fornisce il contesto in cui il bambino inizia a costruire la propria identità emotiva e la capacità di relazionarsi con gli altri.
Il diritto all’informazione e alla scelta durante il parto
Le donne hanno il diritto di essere informate e di scegliere i trattamenti a cui sottoporsi. E’ compito degli operatori sanitari fornire informazioni scientificamente corrette e rispettare la volontà delle persone che assistono, senza imporre percorsi terapeutici predefiniti. Il consenso informato richiesto per alcune pratiche è sempre revocabile. Se una donna inizialmente acconsente a una pratica e successivamente cambia idea, ha la libertà di revocare il proprio consenso.
Il potere della scelta: cosa puoi fare durante il parto
Come persona che si appresta ad avere un bambino, hai il diritto di essere informato e di scegliere i trattamenti ai quali essere sottoposto. Nessuno può obbligarti a somministrarti un farmaco o a sottoporti a una procedura se tu non sei d’accordo. In caso di dubbi o perplessità, hai il diritto di chiedere informazioni e di richiedere un secondo parere, anche da un professionista esterno alla struttura ospedaliera in cui sei ricoverato.
Durante il travaglio e il parto puoi:
Durante la gravidanza e il parto, come donna hai il diritto di:
- Richiedere informazioni sui farmaci e le procedure a cui verrai sottoposta e di rifiutare qualsiasi trattamento o somministrazione che non ritieni necessario o appropriato.
- Chiedere un secondo parere da un professionista sanitario esterno alla struttura dove sei ricoverata, ad esempio la tua ostetrica di riferimento.
- Scegliere la posizione in cui vuoi stare durante il travaglio e il parto e rifiutare di stare sul lettino.
- Decidere quando tagliare il cordone ombelicale dopo il parto.
- Rooming- in ovvero la possibilità di tenere il tuo bambino con te dopo la nascita e durante il periodo di ricovero, senza essere separati in modo coatto. Tutte le procedure di routine possono essere eseguite mentre il bambino è con te.
- Dopo il parto se senti la necessità di riposrare, puoi chiedere di portare il bambino al nido.
Per approfondire: Rooming-in: cos’è e quali sono i vantaggi e gli svantaggi