Partiamo da una distinzione: il lutto perinatale è quello che avviene subito dopo la nascita, il lutto prenatale si differenzia in varie categorie a seconda dell’età gestazionale:
- ABORTO SPONTANEO: prima della 22^ settimana di gestazione
- MORTE INTRAUTERINA: dopo la 22^ settimana di gestazione
- MORTE IN UTERO PRECOCE: dalla 22^ alla 28^ settimana
- MORTE TARDIVA: dopo la 28^ settimana
La gravidanza si accompagna ad una serie di modificazioni psicofisiche che appartengono alle madri e che sono tristemente note anche alle madri che perdono il bambino durante la gestazione.
La costruzione di quell’assetto materno, di cui parla lo psicologo americano Daniel Stern, è quindi bruscamente interrotta da questo evento inatteso. I genitori di bambini morti prima del parto o subito dopo parlano di un vero e proprio punto di rottura tra la vita precedente alla perdita e quella successiva, in cui faticano a rintracciarne elementi di continuità.
Cosa accade alla coppia
Il lutto prenatale non si differenzia dagli altri lutti per intensità e bisogni ma rispetto ad altri è ancora poco conosciuto all’esterno. A fronte di questo evento, la società tende a reagire con il bisogno di mettere da parte e negare quanto accaduto, quasi che la gravidanza con tutte le sue modificazioni e implicazioni potesse essere cancellata e dimenticata dalla coppia.
Spesso le reazioni da parte dell’esterno non sono congrue, rispetto al timing della coppia, che ha bisogno di tempo e cura per poter affrontare il lutto e poterlo integrare nel proprio vissuto individuale. Tale tendenza riguarda tutti i tipi di lutto in questo ambito ma riguarda ancora di più l’aborto precocissimo, all’interno del primo trimestre di gravidanza.
Le spiegazioni scientifiche e la negazione dell’esistenza del bambino, al di là di qualsiasi credo religioso o meno, rispondono più che altro al bisogno di rassicurazione delle persone che stanno intorno alla coppia. Non prendono in considerazione che l’investimento emotivo-affettivo sul figlio non è assolutamente proporzionale alle sue settimane di vita. La sua presenza, nella mente e nel cuore della madre e del padre, ha avuto inizio ancor prima del concepimento.
Il tipo di reazione è anche legata alla prospettiva socio-culturale più diffusa in Occidente, per cui lutto è considerato quasi una sorta di malattia da curare, piuttosto che come un’esperienza difficile, un trauma evolutivo che necessita di molte risorse, interne ed esterne all’individuo. Per essere affrontato e tramutato ha bisogno del giusto tempo ed una spinta evolutiva di grande rilievo.
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Il lutto prenatale: la morte in utero.
Colpisce la coppia nella seconda metà della gravidanza, interrompendo bruscamente l’attesa del figlio. L’imprevedibilità dell’evento coglie i genitori proprio nel momento di maggiore vulnerabilità psichica, quando la mente ormai ha già fatto spazio a un figlio che non arriverà mai, o meglio, non nel modo in cui la coppia lo aveva immaginato.
Il naturale legame che si instaura tra il bambino e i suoi genitori è immaginato e psichico ma anche intimo e corporeo: la morte del bambino distrugge questo legame viscerale e porta via i progetti futuri – e le proiezioni- che inevitabilmente il padre e la madre avevano iniziato a definire. I vissuti psicologici più frequenti successivamente alla perdita del bambino sono sentimenti di solitudine, dolore, fallimento e colpa. Alcune di queste emozioni sono totalizzanti e molti genitori in lutto vivono con grande drammaticità la certezza che “niente sarà mai più come prima”.
Lo shock può durare mesi e spesso vi è una discrepanza tra la richiesta sociale a “re-agire” e la necessità di “sostare” nel lutto. Infatti alcune coppie cercano una nuova gravidanza ancor prima di aver iniziato il viaggio dell’elaborazione (Claudia Ravaldi, in La morte in-attesa. Assistenza e sostegno psicologico nel lutto in gravidanza e dopo il parto, 2011). Il processo di integrazione del lutto è però necessario affinché l’esperienza non si trasformi in lutto-malattia, i cui effetti persistono con drammaticità per anni nella vita della coppia.
Il dolore non espresso e non elaborato provoca infatti ferite profonde e costituisce un fattore di rischio per il percorso evolutivo della persona. Avere cura di se stessi e affidarsi all’aiuto degli altri diventa fondamentale per riappropriarsi, pian piano, della propria vita. Ecco perché i professionisti della salute hanno il compito, seppur difficile, di accompagnare la persona in lutto promuovendone la sua “rimessa in marcia”.
di Vitaro Rossella