A partire dagli ultimi decenni del XX secolo, le scoperte in fatto di neuroscienze hanno dato un grandissimo contributo nel mostrare al mondo quanto mente e corpo siano interconnessi da una complessa rete che li collega, e come ad ogni stimolo dell’uno corrisponda una risposta dell’altro.
Questa premessa è il punto di partenza per spiegare l’effetto che le emozioni di tensione possono avere sulla donna partoriente, e quanto nel parto vi sia una componente psicologica che ancora oggi viene, purtroppo, minimizzata.
Un’altra premessa che è d’obbligo riguarda il fatto che non tutti i parti subiscono nel loro evolversi “più o meno bene” l’influenza dello stato psico-emotivo della mamma. Ci sono moltissimi casi ove l’intervento medico è dovuto a circostanze fisiologiche o patologiche, che influiscono sul normale andamento del processo.
Quanto verrà esposto si riferisce unicamente all’assenza di tali condizioni di rischio, o di complicanze. Si riferisce a donne sane e bambini sani, che possono quindi affrontare un parto fisiologico. O, nei casi in cui si presentino “circostanze speciali” alcune tecniche possono costituire un valido modo per far fronte alle difficoltà emotive che possono emergere.
La paura può influenzare il parto
Il primo a parlare di “Parto senza paura” è il Dottor Grantly Dick Read nei suoi scritti e successivamente nel suo libro.
Durante i lunghi anni di osservazione, il ginecologo e ostetrico inglese – d’inizio ‘900 – nota che le donne meno educate danno alla luce i loro bimbi, in condizioni a volte disagevoli ma in maniera del tutto “naturale”. A differenza delle donne socialmente più educate, a cui invece in quei tempi è praticata un’anestesia totale e i bambini sono “tirati fuori” con il forcipe. Per timore che possano sorgere complicanze o che il parto risulti “troppo doloroso”.
Inizia quindi a teorizzare che la paura crei tensione nel corpo della donna, e che questo porti a un minor afflusso di sangue all’utero. Quest’ultimo durante le contrazioni, non essendo correttamente irrorato, provoca un insopportabile dolore alle madri, e impedisce al collo dell’utero di assottigliarsi e dilatarsi.
Fear-Pain Tension Syndrome e il nostro sistema nervoso
Il Dottor Grantly Dick Read quindi decide di chiamare questo fenomeno Fear-Pain Tension Syndrome.
Le sue teorie precedono di moltissimi anni la scoperta di ormoni come le endorfine, l’adrenalina, le catecolamine, che sono tutti “attori” coinvolti nel parto.
Al tempo però viene messo in ridicolo per questa intuizione, che col passare degli anni viene invece sempre più avvalorata dalle scoperte scientifiche.
L’effetto negativo della paura sul travaglio e sul parto può essere tracciato partendo dal funzionamento del nostro sistema nervoso. Il sistema nervoso autonomo è la complessa rete di comunicazione che collega il nostro cervello al nostro corpo.
La sua principale funzione è decodificare i messaggi, determinare qual è la risposta giusta da intraprendere e comunicarla alle altre parti del nostro organismo.
E’ composto da due “parti”: Il sistema parasimpatico e il sistema simpatico.
Il sistema secondo è stimolato quando siamo spaventati, stressati, ed è il meccanismo di difesa del nostro organismo, quello che regola le ancestrali funzioni di “attacco-fuga-congelamento” (fight-flight-freeze).
Il sistema parasimpatico è invece quello che regola lo stato di “calma e connessione”, che rallenta il battito cardiaco, rallentando la produzione di ormoni come l’adrenalina, e favorendo invece la produzione di endorfine.
In che modo queste funzioni vanno ad influenzare il parto?
Se la mamma si avvicina al parto con paura e stress irrisolti, o con scarsa conoscenza della fisiologia del parto, possono “materializzarsi” stati di tensione percepiti durante il travaglio. Per il nostro cervello diventano messaggi “d’allarme” e invece di stimolare il sistema di “calma e connessione”, influenzano invece quello di “attacco/fuga” e soprattutto congelamento (freeze).
Nel perfetto design del nostro corpo, l’utero non rientra fra gli organi di difesa. Quando questo genere di stimoli arriva al cervello, il flusso sanguigno, così importante perché i muscoli uterini possano “lavorare” in armonia, è immediatamente diretto verso le altre parti che invece lo sono.
Con apporto limitato di sangue e ossigeno, i muscoli dell’utero, anziché dilatarsi e aprirsi si costringono e si induriscono, impedendo o rallentando la dilatazione del collo dell’utero e rendendo la fase del travaglio dolorosa e, purtroppo, spaventosa per alcune mamme.
di Russo Valentina