Negli ultimi anni la depressione post partum è stata al centro di numerosi studi1 sia per un preoccupante innalzamento del dato di prevalenza, sia anche per l’esito a volte drammatico di queste situazioni che, attraverso i media, colpiscono l’opinione pubblica e sembrano accadere senza una causa.

Spesso si sente parlare di una percentuale che varia dal 30% all’85% per i casi a rischio di depressione.

È stato messo in evidenza il ruolo ricoperto dal padre sin dall’inizio della gravidanza per la prevenzione della depressione materna e per proteggere la relazione madre-bambino.
Si è osservato che nel periodo perinatale gli stati psicologici delle madri e dei padri non solo sono correlati ma si influenzano reciprocamente. Infatti, i disturbi depressivi, ansiosi e comportamentali dell’uomo possono incidere e favorire una reazione depressiva nella donna, condizionando lo sviluppo psicologico e fisico del nascituro. 

L’incidenza della depressione perinatale maschile, sebbene inferiore a quella femminile, è comunque elevata e troppo spesso sottostimata, anche se negli ultimi anni l’interesse sull’argomento è aumentato.

L’analisi delle ultime ricerche suggerisce di considerare nei programmi di screening dell’intervento sulla depressione perinatale maschile e femminile, i problemi coniugali nella fase pre e post-parto.

Nella realtà, spesso, tale indagine non avviene, ignorando così, che una buona sessualità all’interno della coppia, durante la gravidanza e il periodo post-partum, può promuovere più benessere e intimità.

La depressione è un importante predittore del calo del desiderio sessuale e lo influenza psicologicamente. 

Come accennato precedentemente, la conoscenza della gravidanza può generare, nella gestante, ansia per le modificazioni del proprio corpo, per le variazioni del tono dell’umore, per l’eccessiva stanchezza imputabili a fattori biologici e ormonali. 

La donna deve:

  • fare i conti con le continue trasformazioni del proprio stile di vita;
  • porre attenzione nell’assunzione dei farmaci;
  • modificare le abitudini alimentari;
  • ridurre e/o sospendere l’utilizzo di alcune sostanze (nicotina, alcol, caffeina);
  • mutare il ritmo di vita lavorativo;
  • affrontare una serie di controlli medici;
  • cambiare il proprio ruolo agli occhi di se stessa, del partner e delle persone che la circondano.

Il passaggio da donna a madre ha delle profonde ripercussioni nel rapporto con il proprio compagno di vita e sul sistema familiare.

In questa particolare fase della vita sorgono una serie di preoccupazioni e angosce sulla possibilità che il bambino non nasca sano, sul parto, sulla gestione delle aspettative da parte dell’ambiente, sulla fase post-parto. 

Questa ospedalizzazione del parto, avvenuta nella prima metà del ‘900 , ha fornito alla donna e al bambino una maggiore efficienza sanitaria, ma l’ha spinta ad affrontare una situazione ignota senza il supporto della famiglia allargata innescando sempre più sentimenti ansiogeni di incapacità di accudire il proprio figlio.

Spesso i medici, più direttamente coinvolti nell’evento e maggiormente a contatto con il dolore, hanno cercato di migliorare le condizioni nelle quali il parto si svolgeva sia attraverso la lotta al dolore (con metodi farmacologici), sia tramite la psico-educazione delle donne, accantonando la sfera emozionale. 

Il rischio dell’“efficientismo” è dietro l’angolo: pochi figli, ma perfetti. Accade, quindi, di vedere da una parte coppie super efficienti e dall’altra coppie che costantemente non si sentono all’altezza e temono di non essere abbastanza “brave”. 

L’attesa di un figlio implica sempre la ristrutturazione del rapporto di coppia

L’attesa di un figlio implica sempre la ristrutturazione del rapporto di coppia e una riorganizzazione della rappresentazione di sé.

L’uomo vive un coinvolgimento diverso rispetto alla donna. Egli sperimenta emozioni come: tenerezza, paura, gioia, ma anche invidia, gelosia e senso di esclusione dalla diade madre-figlio. 

Nel parto sono presenti diversi fattori di rischio (multifattorialità) per lo sviluppo e il manifestarsi di una psicopatologia quale la depressione post-parto o il disturbo da stress post-traumatico (DSPT). Frequentemente la depressione nel periodo puerperale è sottovalutata e ignorata in quanto si considerano i sintomi presentati dalla donna come tipici della condizione di maternità, (alterazione del sonno, calo del desiderio sessuale, stanchezza ecc.). 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization 2003) ha sottolineato che la depressione si configura come la prima causa di psicopatologia per le donne di età compresa fra i 15 e i 44 anni e la terza causa per gli uomini della medesima fascia d’età.

Essa è stata diagnosticata e riconosciuta per la prima volta solo verso il 1960.
Nel DSM-IV-TR, il termine “depressione nel post-partum” è stato inserito sotto la denominazione “Mood Disorders with a Post-partum Onset Specifier”.

In esso ci sono cinque sottotipi di disturbo depressivo maggiore fra cui i “disturbi della depressione post-partum o associati con il puerperio, non classificati altrove”.

Nel DSM-5 non si riconosce tuttora la depressione post-partum come una diagnosi a parte, ma è considerata ancora come un sottotipo della depressione 

maggiore in cui vengono però inseriti i criteri per identificare l’insorgenza della depressione pre-parto.

La definizione è quindi di un “episodio depressivo maggiore con un esordio in gravidanza o entro 4 settimane dal parto” ma a differenza del DSM-IV è stata riconosciuta la possibilità di insorgenza pre-natale. 

Depressione post-partum, maternity blues e psicosi puerperale

La depressione post-partum, in base all’intensità e alla durata dei sintomi, va distinta sia dal maternity blues e dalla psicosi puerperale, riconosciuti come  aspetti di un continuum di gravità, sia dal disturbo da stress post-traumatico. Il termine maternity blues, o anche baby blues coniato da Winnicott, tradotto  letteralmente significa “bambino triste”. Esso è un disturbo dell’umore di lieve entità di tipo transitorio, molto comune nelle sindromi del puerperio, che si manifesta nei primi tre-quattro giorni dopo il parto ed è una risposta parafisiologica all’esperienza stressante del parto che non ha effetti a lungo termine perché si protrae per circa 15 giorni10 ed è legata alle repentine variazioni ormonali che si verificano qualche tempo dopo il parto: diminuzione del progesterone, degli estrogeni, degli ormoni tiroidei, della corticotropina (CRH) e del cortisolo.

Il maternity blues si caratterizza per confusione, smarrimento, ansia 12 umore labile, tendenza al pianto, stanchezza, paura, preoccupazione eccessiva, mancanza di concentrazione, difficoltà d’interazione con il neonato, disturbi del sonno e  dell’appetito.

Essa pur essendo una depressione “transitoria” può essere predittiva, soprattutto se accompagnata a particolari aspetti psicologici, di un successivo sviluppo di depressione post-natale.

In effetti le stime di casi di vera e propria depressione post partum si aggirano intorno al 10-18%, intorno al 2-3% se si tratta di un disturbo da stress post traumatico post partum, dell’1-2% se riguarda una vera e propria psicosi puerperale. 

La psicosi puerperale ha esordio improvviso, si manifesta entro le prime due settimane fino a tre mesi dal parto e l’incidenza è di 2-3 casi ogni 1.000 nascite. 

Esistono dei fattori che ne determinano l’eziopatogenesi quale: una storia familiare di malattia psichiatrica; un passato psichiatrico personale (in particolare 

una storia di mania); essere una donna primipara; una dipendenza da sostanze; una malattia medica; avere un figlio maschio; essere sottoposti a stress psicosociali, compreso il bisogno di cure mediche intensive per il bambino o la morte di questo.

La sintomatologia è tanto grave da dover intervenire con l’ospedalizzazione e si può manifestare con sintomi affettivi che coincidono per alcuni aspetti con il disturbo bipolare.

Essi possono essere: depressione, mania o stati misti, aspetti deliranti tipo allucinazioni, disorganizzazione del comportamento, confusione mentale, disturbi del pensiero e della memoria, rifiuto del cibo. La depressione post-partum è stata descritta come “un ladro che ruba la maternità”, che può talvolta indurre ad azioni tragiche come il suicidio materno o l’infanticidio 

1) Murray, Cooper, 1999; Tronick, 1999; Agostini e coll., 2002; Della Vedova e coll., 2008; Dabrassi, Imbasciati, 2011;

di Eleonora Staccioli

Fonti:

Diagnosi precoce del disturbo della relazione madre-bambino: l’osservazione clinica e l’intervento a livello territoriale” di Gattoni Maria Beatrice, Desideri Maria Gabriella, Dabrassi Francesca, Brighenti Maurizio -(PM,1Giugno2012)

Rivista: Cognitivismo clinico (2017) 14,1, 22-45. La depressione perinatale materna e paterna. Fattori di rischio, aspetti clinici e possibili interventi di Stefania Cicchiello.

Rivista Italiana di Educazione Familiare, n. 2 – 2011, pp. 5-21 “La nascita nella mente della madre” Adolfo Pazzagli, Paola Benvenuti, Chiara Pazzagli

F.Crisafulli, L. Molteni, L. Paoletti, P.N. Scarpa, L. Sambugaro, S. Giuliodoro, Il “core competence” dell’educatore professionale. Linee d’indirizzo per la formazione. Edizioni Unicopli

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