La sindrome di Medea, così denominata in riferimento alla figura mitologica di Medea, è un disturbo psicologico estremamente raro che può colpire le donne in periodo perinatale. La patologia prende il nome dalla figura tragica di Medea, protagonista dell’omonima tragedia greca di Euripide, che uccise i propri figli per vendicarsi del marito Giasone.
Medea, figlia della maga Circe, era una donna dotata di poteri magici che, profondamente innamorata di Giasone, lo aiutò a conquistare il vello d’oro tradendo la propria famiglia. Tuttavia, dopo alcuni anni di matrimonio con Giasone, questi si innamorò di Glauce, la figlia del re di Corinto, Creonte, e ripudiò Medea per sposare la giovane. Questo evento causò una profonda ferita nell’animo di Medea, che decise di vendicarsi in modo estremo: inviò un vestito avvelenato come dono di nozze alla figlia del re, causandone la morte. Successivamente, accecata dall’odio, Medea uccise i propri figli, eliminando ogni legame con l’ex marito.
Sindrome di Medera pre e post-partum
La sindrome di Medea può manifestarsi durante la gravidanza o il post-partum, e si caratterizza per l’insorgenza di pensieri ossessivi riguardanti la morte del neonato, comportamenti di isolamento, alterazioni dell’umore, allucinazioni, idee deliranti e perdita di controllo. È importante sottolineare che la sindrome di Medea è un disturbo psicologico estremamente raro e che la maggior parte delle donne che sperimentano pensieri intrusivi riguardo alla morte del proprio figlio non li traduce in azioni concrete.
La sindrome di Medea può avere cause diverse, tra cui una storia di traumi infantili, disturbi psichiatrici pregressi, una bassa autostima, una mancanza di supporto sociale e familiare, e una difficoltà nel legame madre-figlio. Il trattamento della sindrome di Medea può includere la psicoterapia, la terapia farmacologica e il supporto sociale e familiare. È importante che la madre abbia un’adeguata educazione riguardo alla cura del neonato e che sia supportata nell’instaurare un legame sano con il proprio figlio.
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Cos’è la sindrome o il complesso di Medea?
La sindrome di Medea è stata oggetto di interesse nella psicologia moderna e viene utilizzata per descrivere un comportamento materno particolarmente distruttivo nei confronti della relazione tra padre e figli dopo una separazione conflittuale. Secondo Jacobs (1988), questo comportamento prende il nome di “Complesso di Medea” e si rifà alla mitica figura greca che uccise i propri figli come forma di vendetta nei confronti del marito che l’aveva ripudiata.
Il “Complesso di Medea” si configura come una metafora, in cui l’uccisione simbolica dei figli è finalizzata a distruggere il rapporto tra padre e figlio. Tuttavia, la figura di Medea rappresenta solo un aspetto della questione dell’alienazione genitoriale, che può interessare entrambi i genitori. Infatti, il concetto di “Alienazione Parentale” (PAS – Parental Alienation Syndrome) si riferisce ai comportamenti di un genitore che, solitamente detentore della custodia dei figli, tende ad allontanare materialmente ed emotivamente il figlio dall’altro genitore.
Il comportamento alienante del genitore custode è finalizzato all’emarginazione e alla neutralizzazione dell’altro genitore, creando una serie di difficoltà e conseguenze negative per il bambino coinvolto, come il rischio di sviluppare disturbi psicologici e comportamentali a breve e lungo termine.
Quando si verifica?
Il complesso di Medea rappresenta una problematica che può insorgere dopo una separazione o un divorzio, dove uno o entrambi i genitori cercano di distruggere il legame tra l’altro genitore e i figli. Questo comportamento è causato dalla mancata elaborazione della separazione da parte di uno o entrambi i coniugi. L’obiettivo dell’alienazione genitoriale è la distruzione del rapporto tra padre o madre e figlio, attraverso una manipolazione psicologica che consiste nel parlare male dell’altro genitore di fronte ai figli.
Anche se la violenza non è fisica, come nel caso di Medea, le conseguenze dell’alienazione parentale sono altrettanto distruttive. In particolare, i figli possono essere i più colpiti, poiché la loro relazione con entrambi i genitori viene compromessa, causando loro una sofferenza emotiva e psicologica. In definitiva, la vendetta e l’odio non porteranno mai alcun beneficio a nessuno, e il benessere dei figli deve essere posto al centro di qualsiasi decisione o comportamento post-separazione o divorzio.
Madri
Secondo la teoria di Gardner, l’alienazione parentale è una forma di abuso psicologico che può essere perpetuata da un genitore contro l’altro, generalmente durante o dopo una separazione o un divorzio. Tale fenomeno, come già evidenziato, è spesso legato alla sindrome di Medea, in cui la madre in particolare viene identificata come il genitore più alienante.
In particolare, Gardner sostiene che la madre, avendo generalmente la custodia dei figli, abbia maggiori opportunità per esercitare il proprio controllo sulla vita dei figli e per far sì che essi provino sentimenti di alienazione nei confronti del padre. In tal modo, il genitore alienato viene dipinto come un nemico, un padre cattivo, che non ha nulla a che fare con il benessere dei propri figli.
Gli effetti di queste dinamiche possono essere devastanti per i bambini, che possono sentirsi costretti a scegliere tra i propri genitori, perdere l’affetto di uno di essi e soffrire di conseguenze a lungo termine. Inoltre, anche la madre che perpetua l’alienazione rischia di subire danni psicologici e di sentirsi svuotata e priva di valore.
È importante sottolineare che l’alienazione parentale può riguardare anche i padri e che entrambi i sessi possono essere affetti dalla sindrome di Medea. Tuttavia, Gardner sottolinea che le madri tendono ad essere più frequentemente coinvolte in queste dinamiche e che il loro comportamento alienante può avere conseguenze molto gravi per i bambini e per la famiglia nel suo insieme.
Padri
L‘osservazione di Gardner, esperto di psichiatria infantile e forense, indica che il complesso di Medea non è limitato alle madri, ma può essere riscontrato anche nei padri. Negli Stati Uniti, la percentuale di padri che subiscono la sindrome di alienazione parentale (PAS) sta aumentando fino al 50%. Il motivo per cui anche i padri possono comportarsi in modo alienante verso la madre potrebbe essere associato al tema del “tempo”, già discusso. Il fatto che le madri trascorrano generalmente più tempo con i figli potrebbe far sentire i padri “meno padri” e meno utili nei confronti delle madri, portandoli a comportamenti finalizzati a minare il rapporto tra la madre e i figli.
Figli
Il complesso di Medea è un fenomeno che colpisce i figli delle coppie separate o divorziate quando uno dei genitori (o entrambi) mette in atto comportamenti volti a distruggere la relazione tra l’altro genitore e i figli. Il genitore alienante agisce con l’intento di ferire l’ex coniuge, ma a pagare il prezzo maggiore sono i figli che si sentono costretti a prendere parti in una gara di lealtà e ad essere coinvolti in un conflitto che non li riguarda direttamente.
Gli effetti dell’alienazione genitoriale sui figli possono essere gravi e duraturi. I bambini che subiscono la PAS possono sviluppare problematiche psicologiche e relazionali, come depressione, ansia, disturbi post traumatici e difficoltà ad instaurare relazioni di fiducia. Inoltre, la violenza emotiva perpetrata dai genitori alienanti può portare i figli a sentirsi confusi, divisi e combattuti, impedendo loro di sviluppare una sana autostima e di costruire relazioni affettive sane.
Va sottolineato che il complesso di Medea non riguarda solo le madri, come si credeva in passato. Anche i padri possono mettere in atto comportamenti alienanti verso la madre dei loro figli, soprattutto quando si sentono meno utili e meno presenti nella vita dei figli rispetto alla madre. In ogni caso, è importante riconoscere il fenomeno e agire tempestivamente per proteggere i figli dalla violenza emotiva perpetrata dai genitori alienanti.
L’alienazione genitoriale: conseguenze nel sitema relazionale e familiare
L’alienazione genitoriale rappresenta una situazione estremamente complessa che coinvolge l’intero sistema relazionale e familiare. Ogni componente della famiglia (il genitore alienante, il genitore alienato e il figlio) gioca un ruolo importante nella dinamica della separazione e il loro vissuto individuale e familiare, così come i loro bisogni, influenzano il modo in cui reagiscono e agiscono all’interno della famiglia.
L’effetto sul figlio è particolarmente delicato, poiché viene costretto a prendere le parti di uno dei genitori e ad escludere l’altro. Ciò può portare ad un conflitto interiore per il bambino o il ragazzo, che si sente diviso e combattuto, con il rischio di sviluppare problematiche emotive e relazionali.
In questi casi, la violenza verso il figlio non è fisica ma psicologica: il genitore alienante può manipolare emotivamente il figlio per costringerlo a scegliere tra i genitori, spingendolo ad escludere l’ex coniuge dalla propria vita.
Per questo motivo, può essere molto utile rivolgersi ad un terapeuta specializzato in terapia familiare, al fine di individuare le risorse di ciascun membro della famiglia per affrontare in modo funzionale la difficile fase della separazione e prevenire eventuali problematiche psicologiche a lungo termine per il figlio.
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