La ricerca di legame, contatto, vicinanza viene promossa automaticamente sin dalla nascita grazie a una dotazione genetica, ovvero a schemi di comportamento innati efficaci finalizzati alla piena soddisfazione dei bisogni: dal momento in cui avviene quella che più in generale è considerata nascita, ossia il parto, i piccoli hanno un ruolo attivo nella relazione, in cui l’attaccamento al proprio caregiver è un bisogno primario del bambino. 

Contrariamente a quanto si potrebbe comunemente pensare, anche il neonato quindi fin dalla nascita non dipende passivamente dalla madre, ma ha un suo ruolo nell’intraprendere e mantenere la relazione madre-figlio: c’è la presenza di meccanismi fisiologici innati, biologicamente basati e reciproci che si attivano in maniera automatica, nella madre che risponde ai segnali del piccolo ma anche nel bambino che richiama la sua attenzione e vicinanza. 

I segnali innati del neonato

Seppur non abbia la capacità motoria di avvicinarsi alla madre o mantenersi presso di ella, fin dalla nascita l’essere umano viene al mondo dotato di numerosi strumenti che hanno la funzione di mostrare determinati segnali diretti come il pianto e il sorriso, e i riflessi innati, che inducono in modo peculiare particolari tipi di risposta da parte di chi li cura: queste forme di comportamento di segnalazione hanno l’effetto di far avvicinare la madre al bambino, con lo scopo di suscitare nel caregiver una risposta che garantisca quanta più stabilità possibile. Inoltre il neonato nei primi istanti in cui ha contatto con il mondo che lo circonda per sua natura è maggiormente attratto dal volto dell’adulto, prima ancora di dirigere l’attenzione ad altri particolari, identificandolo come “oggetto” preferenziale al quale rivolgersi. Questo istinto consente di imparare rapidamente a distinguere le espressioni emotive positive e a differenziarle dalle altre. 

Nel permettere che tutto questo si sviluppi, madre e bambino hanno quindi un ruolo attivo nella costante ricerca di interazione, all’interno di una presenza affettiva oltre che fisica, in particolar modo nelle prime fasi di sviluppo.
Come ogni altro tipo di interazione, le distinte attività dei partecipanti devono coordinarsi tra di loro, ed è quindi necessario il contributo di tutti per la buona realizzazione della stessa.

Tale interazione è molto importante, in quanto influenza lo sviluppo emotivo, cognitivo e la personalità adulta dell’infante. 

La relazione primaria tra madre e bambino secondo Winnicott

Per Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista britannico, è proprio attraverso la relazione primaria tra madre e bambino che avviene un processo di interazione psicosomatica, nella quale l’adulto attribuisce ai bisogni del piccolo un significato anche carico di emozioni: in questo caso la responsività che ne consegue consente di instaurare una sintonia con le diverse esigenze e, di conseguenza, una risposta totalmente adeguata. 

Le espressioni emotive innate che il bambino utilizza nelle diverse situazioni per interagire con il caregiver farebbero parte di una serie di abilità affettive naturali che si manifestano con lo scopo di favorire una stabile relazione con l’esterno.

La relazione madre-figlio diviene essenziale dal punto di vista evolutivo in quanto salvaguarda la sopravvivenza del cucciolo ed è inoltre necessaria all’individuo umano, in quanto struttura un pattern di relazione sociale che potrà essere adattato nelle fasi successive dello sviluppo all’interazione con gli altri membri della stessa specie.

Il forte legame, che si instaura tra un bambino e la propria madre sulla base di scambi interattivi reciproci, è costituito da un insieme di comportamenti mirati a mantenere la prossimità verso una persona specifica che viene riconosciuta in grado di gestire adeguatamente la situazione in atto. 

La relazione primaria secondo Bowlby

Viene definito ciò nella teoria dell’attaccamento dallo studioso John Bowlby, che maggiormente si è dedicato a questa tipologia di relazione. L’attaccamento possiede la caratteristica di essere selettivo, cioè, implica la ricerca di vicinanza con l’oggetto di attaccamento, fornisce benessere e sicurezza come risultato della vicinanza con l’oggetto di attaccamento e, quando il legame viene interrotto e la prossimità non può essere raggiunta, si produce uno stato di angoscia da separazione. Inoltre, fornisce una base sicura dalla quale il bambino può allontanarsi per esplorare il mondo e farvi ritorno. 

Data questa osservazione, l’attaccamento può essere considerato come una motivazione primaria del bambino, nonché un suo bisogno principale e non più una conseguenza del soddisfacimento di bisogni alimentari o fisici.
L’importanza delle variabili intorno al fenomeno dell’attaccamento, quali la vicinanza e il contatto fisico con la madre, necessari al di là della soddisfazione dei bisogni primari, possono risultare noti grazie agli studi di altri due importanti studiosi. 

La relazione primaria osservata negli animali

Konrad Lorenz, zoologo ed etologo austriaco, ha studiato il fenomeno dell’imprinting, dimostrando, con la scoperta di questo nei pulcini, come i piccoli tendono a mantenere un contatto visivo e uditivo con il primo oggetto cospicuo con cui fanno esperienza subito dopo la schiusa delle uova, che solitamente è la madre, a prescindere dal bisogno di nutrizione. Tenendo comunque in considerazione il fatto che, rispetto all’essere umano, questa specie di animali è in grado di cibarsi autonomamente sin dalla nascita, il comportamento che si manifesta è molto simile al bisogno di contatto avvolgente del neonato, indipendentemente da qualunque tipo di ricompensa convenzionale, come per l’appunto il cibo. 

Sulla stessa linea, che ritiene il legame tra neonato e madre non esclusivamente legato all’esperienza della nutrizione, troviamo l’esperimento di Harry Harlow, psicologo e docente statunitense, sull’importanza delle sensazioni tattili ed emotive trasmesse. Inizialmente fu proprio l’osservazione continua dei piccoli di macaco isolati nelle gabbie a suscitare in Harlow una serie di interrogativi sulla “natura dell’amore”: un panno di morbido cotone utilizzato nelle gabbie dei piccoli per motivi igienici diveniva quasi istantaneamente un riferimento affettivo per gli animali, che manifestavano segni di forte irritazione e frustrazione ogni volta che il panno veniva rimosso durante le pulizie. Da qui l’indagine sulla relazione tra madre e bambino porta lo studioso alla creazione di due madri artificiali, seguendo i comportamenti degli animali osservati, una dura costituita soltanto da una struttura metallica dotata di biberon di latte, e una morbida costruita con un panno di cotone ma priva di nutrimento, situate all’interno di un cubicolo e separate da un pannello di legno. L’esperimento consisteva sostanzialmente nel misurare il tempo trascorso dai piccoli con ciascuna delle due madri: con gli studi sulle scimmie Rhesus, lo studioso osservò come i cuccioli passassero più tempo in corrispondenza di una madre calda e morbida ma che non fornisce cibo, rispetto a una madre fredda e metallica provvista di nutrimento. I piccoli restavano con le “madri fredde” solo il tempo necessario per prendere il latte, mentre il resto del tempo lo trascorrevano in gran parte avvinghiati alla “madre soffice”. Harlow col suo esperimento ha dimostrato come il bambino si leghi alla mamma non per il soddisfacimento dei bisogni primari ma per riceverne protezione. 

L’importanza del contatto per la sopravvivenza

Da questi pochi ma importanti studi emerge già in modo evidente come siano naturali altre necessità, oltre al bisogno di nutrimento, che fisiologicamente spingono il cucciolo a ricercare ininterrottamente la vicinanza e il contatto fisico con la figura di attaccamento primario

La parola “contatto” deriva, infatti, dal latino contingĕre che significa toccare. Parlare quindi di contatto implica anche la considerazione del senso del tatto e dell’importanza della pelle come organo che ha funzioni di base per la vita intera dell’individuo. 

Tra l’altro, il contatto rappresenta uno dei requisiti principali per la sopravvivenza poiché contribuisce, sin dalla nascita, allo sviluppo di attività come la respirazione, la termoregolazione, la vigilanza, le difese immunitarie, la socievolezza e il senso di sicurezza essenziali per regolare il proprio metabolismo. E ancora, aiuta nella calma e a provare contenimento, fiducia in sé, che aiuterà l’acquisizione del proprio senso di identità e lo sviluppo delle relazioni sociali future. 

Il contatto fisico e affettivo necessariamente si colloca all’interno di una relazione di iniziale “dipendenza” fra madre e bambino, che rappresenta la base per un buono sviluppo di tutte le relazioni future: un imprinting emozionale di straordinaria importanza, fisica ed emotiva. 

di Francesca Lopez

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