“Sono convinta che non esista nessun quadro in grado di rappresentare in tutta la sua atrocità un’immagine di dolore disperato, senza rimedio né confine. 

Se io potessi dipingere questo quadro, la tela mostrerebbe semplicemente una donna che guarda giù, verso le sue braccia vuote”.

C. Bronte, Emma 

La mortalità perinatale secondo l’OMS

Il numero di aborti spontanei e morti perinatali è complessivamente elevato nei Paesi ad altro livello socioeconomico e assume proporzioni ancora superiori nei cosiddetti Paesi poveri.
La mortalità perinatale è un concetto che cerca di rappresentare, raggruppandoli in un’unica etichetta, i fenomeni che portano al decesso in utero e di quelli che intervengono nell’immediata vita postnatale. 

Il “nato morto” è, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, “il prodotto del concepimento espulso o estratto dalla madre, che non mostri alcuna evidenza di vitalità quale il respiro spontaneo o, dopo stimolazioni, pulsazioni cardiache o del cordone ombelicale, o quando l’autopsia non evidenzi aria nei polmoni”.

Nell’attuale legislazione italiana la differenza tra “aborto” e “nato morto” viene posta a 25+5 settimane di gestazione; un prodotto del concepimento senza vitalità espulso entro 180 giorni di età gestazionale viene considerato aborto, dal 181° giorno è considerato nato morto. 

La mortalità perinatale secondo l’International Stillbirth Alliance

L’International Stillbirth Alliance utilizza invece il limite della vitalità neonatale a partire da 22 settimane di gestazione (corrispondenti a 154 giorni) con i seguenti criteri per differenziare il bambino nato morto dall’aborto: 

  • Aborto: parto di un feto morto inferiore alle 22 settimane di gestazione o diagnosi di morte fetale prima delle 22 settimane di gestazione, senza tener conto dell’epoca di espulsione del feto e peso neonatale inferiore ai 500 grammi;
  • Nato morto: parto di un feto morto alla o dopo la 22a settimana di gestazione o peso neonatale uguale o superiore a 500 grammi (se l’epoca gestazionale è sconosciuta)

La stima della natimortalità presenta un ampio range (2,5/4,1 milioni/anno) in quanto la registrazione di questi decessi è tutt’ora carente a livello internazionale e presenta difficoltà di analisi per le diverse definizioni adottate. Il 98% delle Morti Endouterine Fetali (MEF) avviene in Paesi con reddito basso o intermedio e nella maggior parte dei casi l’evento potrebbe essere evitabile. Nei Paesi in via di sviluppo il tasso raggiunge invece il 28-32%.

Nei Paesi occidentali l’incidenza di MEF da 28 settimane di età gestazionale è circa 3,5/1000 (con una variabilità 1,3- 8,8). L’Italia, (secondo i dati ISTAT e da 26 settimane gestazionali) registra il tasso di 3,3/1000 nati. 

Una diversa definizione del cut-off di MEF si riflette anche sul calcolo dei tassi di mortalità perinatale. Tutti i neonati deceduti dopo la nascita entrano nel calcolo della mortalità neonatale precoce, indipendentemente dall’età gestazionale. Nel caso dei nati morti, la differenziazione tra “aborto” e “nato morto”, basata unicamente sulla determinazione dell’età gestazionale, comporta che un feto di 25+5 settimane non rientri nel computo della mortalità perinatale se deceduto prima della nascita (in quanto in Italia definito come “aborto”), ma vi rientri se nato vivo e deceduto immediatamente dopo la nascita. 

La diversa definizione del cut-off rende problematico il confronto internazionale dei dati di mortalità perinatale. Se si “aggiustano” i tassi per peso > 1000 grammi o > 28 settimane di età gestazionale si osserva una riduzione della variabilità tra i diversi Paesi compresa tra il 14% ed il 40%. 

Nei Paesi sviluppati il numero di nati morti tende ad essere uguale, a volte superiore, al totale dei decessi registrati nel primo anno di vita.

Negli ultimi decenni il progresso nell’assistenza neonatale ha permesso che più del 90% delle morti avvenga nel periodo che precede il parto, mentre sono molto rari (ma non meno drammatici) i decessi che si verificano durante il travaglio.

Analizzando l’epoca del nato morto, la maggior parte dei casi si verifica prima dell’inizio del travaglio (antepartum), mentre risulta marginale la percentuale di decessi che si verifica durante il travaglio (intrapartum): questi ultimi costituiscono un importante indicatore delle cure perinatali al momento del parto e dovrebbero determinare meno del 105 di natimortalità. La riduzione di tale evento costituisce un importante obiettivo di sanità pubblica.

Natimortalità e carenza di informazioni

Il motivo per cui è importante affrontare il tema della natimortalità è la carenza di informazioni che fino a 10 anni fa interessava il nostro Paese, non permettendo di definire interventi appropriati per ridurre sia la frequenza dell’evento che la sua ricorrenza.
Il nato morto rappresenta un’esperienza drammatica per i genitori e anche per i professionisti, specie se si verifica nelle ultime settimane di gestazione. Comprendere i motivi dell’evento è importante sia sul piano relazionale (il lutto perinatale è un evento drammatico), sia sul piano assistenziale della programmazione delle future gravidanze. Porre al centro dell’attenzione le problematiche relative al nato morto (indipendentemente dall’età gestazionale) significa poter garantire un adeguato supporto alle madri, ai padri e ai familiari che, ancora troppo spesso, si ritrovano da soli di fronte a questo evento. 

La mortalità neonatale precoce e tardiva

La mortalità perinatale comprende anche le morti neonatali che avvengono nei primi 28 giorni di vita. Sulla base di quando avviene l’evento di distingue una mortalità neonatale precoce se il decesso del bambino avviene entro la prima settimana (0 – 6° giorno) di vita e una mortalità neonatale tardiva se avviene tra il 7° e il 28° giorno di vita. In età neonatale, la causa più frequente di morte è la prematurità e le sue complicanze, seguita dalle complicanze che insorgono intrapartum e dalle infezioni. 

Riassumendo, la definizione di morte perinatale viene così schematizzata dall’I.S.S., come da raccomandazione O.M.S.: 

Dati statistici e nomenclatura medica inquadrano il fenomeno della morte perinatale per i professionisti del settore. È difficile accettare il fatto che il bambino, cresciuto nel ventre della madre fino al momento prima, possa cessare di vivere improvvisamente. I progressi della medicina e della diagnostica prenatale raggiunti fino ad oggi danno sicurezza ai genitori, finché questi non si trovano davanti a tale situazione. Nessuno è mai preparato a questo tipo di morte, si tende ad evitare tale argomento e nonostante l’aborto spontaneo si verifichi con relativa frequenza non trova spazio nell’ideale di maternità. L’immaginario collettivo affronta ancora con difficoltà il lutto come fenomeno fisiologico, ma l’idea del bambino che muore ancora prima di nascere sembra essere incompatibile con l’idea comune che si ha di vita e di morte.

Per comprendere a fondo il significato del lutto perinatale è quindi necessario dedicare uno spazio che approfondisca il significato di diventare genitori, con tutti i cambiamenti che questa tappa del ciclo di vita ha sull’individuo (sia per la madre che per il padre) e sulla coppia.

di Laura Galvan

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