La “sensibilità” materna si esprime nella capacità di riconoscere i segnali comunicativi e nella “disponibilità emotiva” ad avere un ruolo complementare a quello del bambino, adattandosi alla progressiva organizzazione dei suoi ritmi, biologici ed emozionali e considerando il suo comportamento come intenzionalmente comunicativo. 

A maggior supporto di tutto questo possiamo anche trovare lo studio sul Transport Response, che riguarda la capacità del cucciolo animale di adattarsi al trasporto materno. Attraverso tecniche comparative tra specie diverse, questa capacità di adattamento viene paragonata alla capacità dell’essere umano per la reciprocità tra il trasporto della madre e la risposta conseguente del bambino: quando il neonato piange la madre automaticamente lo prende in braccio e cammina, e già dalla presa in braccio, sia la madre che il bambino mettono appunto automaticamente una serie di aggiustamenti posturali che gli permettono maggiore comfort. 

Il pianto: il primo canale comunicativo a disposizione del bambino

Il pianto infatti è il primo canale comunicativo che il bambino ha a disposizione alla nascita, per segnalare i propri bisogni e comunicare con l’ambiente esterno. Questo è un comportamento sociale con un importante ruolo nello sviluppo del bambino, guidato da fattori geneticamente predeterminati in grado di elicitare reazioni fisiologiche negli adulti quali, ad esempio, un incremento del battito cardiaco e risposte endocrine. 

Non a caso infatti l’episodio di pianto è uno stimolo in grado di attivare il Sistema Nervoso Centrale sia del bambino che lo produce, sia dell’ascoltatore, creando uno stato di attenzione reciproca. Inoltre, rappresenta una ‘sirena biologica’ che, operando in larga misura come un rinforzo, riesce a modificare e attivare lo stato funzionale dei genitori, promuovendo prossimità e contatto con essi e in particolar modo con la madre, attivando il suo comportamento e motivandola a rispondere prontamente e in maniera adeguata nutrendo il piccolo, proteggendolo o confortandolo. 

Il pianto si è evoluto per comunicare ai genitori un bisogno imminente e, per garantire che sia esattamente quel bisogno ad essere soddisfatto, a seconda della causa, il bambino modula, in maniera istintiva, l’emissione di differenti tipologie di pianto: il fatto che questo non sia ben accolto da chi lo sente è dato dalla natura, creatrice di questo allarme, affinché si faccia il meglio sia per porvi fine sia per per diminuire la probabilità del suo manifestarsi. 

La responsività materna promuove lo sviluppo della comunicazione

La presa in braccio, che è la risposta iniziale più frequente al pianto, indipendentemente dalla cultura e anche dallo stato parentale, offre oltre alla stimolazione vestibolare, anche contatto fisico e calore ed è la più efficace per porre termine al pianto. 

Uno studio longitudinale sulla percezione e regolazione emotiva delle studiose Silvia Bell e Mary Ainsworth (1972) ha dimostrato che la prontezza di risposta del caregiver promuove un comportamento desiderabile nel bambino alla fine del primo anno, dove frequenza e durata del pianto saranno inferiori. Una madre sensibile sarebbe in grado di ridurre temporaneamente il pianto in termini di durata fornendo anche le condizioni che tendono a prevenire l’attivazione o riattivazione del pianto, non solo nei primi mesi ma anche successivamente. 

Le autrici affermano inoltre che la responsività materna promuove lo sviluppo della comunicazione: i bambini che piangono meno all’età di un anno, appunto grazie alla sensibilità delle loro madri, avevano maggiore probabilità di sviluppare altre strategie comunicative, quali ad esempio le espressioni facciali, gesti corporei e vocalizzazioni rispetto a quelli che piangevano di più. La reattività di un caregiver, svolge un ruolo importante nello sviluppo della personalità, temperamento e capacità cognitive e linguistiche del bambino. 

La risposta materna si attiva in maniera automatica

E’ stato dimostrato che la risposta materna si attiva in maniera automatica e, per tale ragione, è inoltre possibile ipotizzare che l’evoluzione abbia permesso di sviluppare nelle donne, in particolare quelle in età fertile, particolari meccanismi fisiologici per percepire e rispondere appropriatamente al pianto. 

Studi recenti che utilizzano diverse tecniche di neuroimmagine, hanno infatti riscontrato cambiamenti neurobiologici dovuti allo stato parentale e vari studi hanno confermato la presenza di specifiche attivazioni cerebrali durante gli episodi di pianto. 

I genitori sono quindi più attenti agli stimoli, quali il pianto, che richiedono una risposta immediata. Questo risultato è spiegabile dal punto di vista evolutivo: essi devono essere pronti a intervenire nelle situazioni di allarme e disagio del proprio bambino, al fine di garantire protezione della prole e a sua volta la sopravvivenza della specie. 

Guardando gli studi nell’insieme, sembra che il pianto attivi aree associate con la cura parentale, l’elaborazione di stimolazioni avversive e allarmanti e con l’empatia, fondamentale per la relazione madre-figlio.

Il contributo degli studi di neuroimmagine

Anche le neuroimmagini supportano quindi l’idea che il pianto sia una componente chiave del primo legame genitore-figlio e un segnale comunicativo essenziale del bambino in grado di attivare una varietà di risposte di cura negli adulti. 

Oltre alle attivazioni cerebrali, il pianto risulta in grado di modificare il battito cardiaco come conferma ad esempio lo studio di Weisenfeld (1981): l’ascolto del pianto del proprio bambino, registrato su un nastro, causa nelle madri una decelerazione cardiaca seguita da una rapida accelerazione: tale risposta è associata alla preparazione all’azione o ad intervenire.
Infine, il pianto è in grado di elicitare anche risposte endocrine: uno studio di Fleming (2005), ad esempio, condotto su persone di sesso maschile ha mostrato che padri, che ascoltavano gli stimoli di pianto, mostravano un incremento percentuale maggiore nel testosterone rispetto ai padri che non ascoltavano tali stimoli. Inoltre, i padri con esperienza, ascoltando i pianti, mostravano un incremento percentuale maggiore nei livelli di prolattina rispetto ai neo-padri o a qualsiasi gruppo di padri che ascoltavano stimoli di controllo. 

La successiva risposta del bambino, che si verifica una volta che egli si trova in braccio alla madre che cammina, è quella di smettere di piangere, per effetti calmanti sul battito cardiaco e sulla frequenza del pianto grazie a successivi studi sui meccanismi fisiologici e neurali che stanno alla base del fenomeno. 

Il tranquillizzarsi del bambino in risposta al trasporto materno è un set coordinato di regolazioni di tipo centrale, motorio e cardiaco con un significato funzionale di questa risposta cooperativa.

L’azione di cura perciò non rimane fine a se stessa, ma diviene per il bambino un momento importante durante il quale non solo riuscirà ad ottenere ciò di cui ha fisicamente bisogno, ma aggiunge a queste “conquiste” la sensazione che ne deriva, ossia di benessere legate al sentimento che viene trasmesso attraverso l’accudimento. 

Parallelamente cura fisica, intenzionale, e morale, cioè cure empatiche, favoriscono lo sviluppo del Sé del bambino, sia in chiave somatica sia psichica, incorporando l’esperienza e i messaggi emozionali annessi a questa.
Questa vera e propria comunicazione, in cui l’affettività ha la priorità, modifica totalmente l’esperienza emotiva e il comportamento da entrambe le parti interessate, assumendo come ruolo quello di funzione regolatoria eterodiretta negli scambi interpersonali, e spostano l’attenzione così su ciò che è dietro i comportamenti e quindi sulla qualità dello stato d’animo condiviso. 

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